Primo Estratto "Homo Mechanicus"
8 Aprile 2014 - 13 Aprile 2014
Fabbrica del Vapore
Via Giulio Procaccini, 4, Milano
A cura di Francesca Alfano Miglietti
Silvana Editoriale
Il corpo in valigia
“Per il ragazzo, amante delle mappe e delle stampe, l´universo è pari al suo smisurato appetito. Com´è grande il mondo al lume delle lampade! Com´è piccolo il mondo agli occhi del ricordo!”
La bellezza vagamente bohémienne di oggetti e bagagli, la potente orizzontalità di dati e reperti, l’immenso vuoto che le immagini creano intorno riempiendo di silenzio interiore gli orizzonti. La ricerca di Stefano Russo è una sorta d’immensità geometrica, incandescente, maniacale, a tratti, che esplode fra una valigia e l’altra, creando quasi un’ impressione di braci ardenti. Tutto è suddiviso geometricamente: parallele, punti di fuga, prospettive aeree, in una geometria degli intrecci di rapporti umani. Una estensione delle capacità costruttive dell’essere e delle sue capacità di assenza, Stefano sembra voler realizzare lo schema della sparizione della forma. Una drammaturgia straordinaria, per niente teatrale, che assembla le forme più aguzze alle forme più morbide, una sorta di poetica del metamorfismo, in una sintesi, in uno scorcio visionario. Il mistero del sapere e alcuni dei suoi elementi sono condensati qui, quasi uno sguardo sociologico, a suo modo geniale e inusuale, ma eccentrico rispetto ai canoni della disciplina.
Tutte le opere di Stefano Russo trattano dell’energia, un inesausto e infinito richiamarsi al rapporto pieno/vuoto, al rispecchiamento di valori simbolici che risucchiano e consumano le cose. Con la nascita dell'illusione di uno scambio simbolico infinito, in cui si dissolve la realtà, Stefano Russo sembra voler aprire uno spiraglio di senso, offrendo scorci, spunti, intuizioni e analisi, che testimoniano di un impegno costante, diventato uno stile di vita e di poetica. Questo insieme di opere si presenta come il racconto del proprio transitare di esperienza in esperienza, di osservazione in osservazione. Quasi un vezzo letterario, in cui il rigore dell'analisi e della ricerca si coniuga all'estetica dei singoli oggetti. Un "puro viaggiare", nel tempo e nello spazio.
Ogni valigia è un racconto ma anche una porzione di sapere e anche una parte del corpo e anche un sentire…
Oggetti, a volte comuni altre volte stravaganti e preziosi, assemblati in modo simbolico e non funzionale, ma anche in articolate costruzioni che sembrano riflettere la volontà di penetrare la sfera dell’umano. Attraverso molteplici processi di elaborazione, tutti gli oggetti che Stefano Russo raccoglie, assembla e presenta, divengono anche altro: conduttori di energia in continua tensione con gli altri elementi e con lo spazio circostante. Molti, valigia dopo valigia, elemento dopo elemento, testo dopo testo, oggetto dopo oggetto, divengono riflessioni attinenti alla sfera dell’organico, al corpo e alle funzioni cognitive, nell’intreccio di diverse tradizioni culturali, ma soprattutto di quelle orientali, che vedono nell’equilibrio e nella conservazione energetica il segreto dell’integrità.
Una delle caratteristiche della ricerca di Stefano Russo è il voler affrontare tematiche profondamente legate all’individuo, dalla storia alla cura del corpo, dall’anima all’energia, dalla sensorialità all’extrasensorialità, utilizzando assemblaggi di materiali vari, (molti sono strumenti di misurazione e di ottica), tutti contenuti in singole valigie che diventano la possibilità di un nuovo percorso cognitivo ed estetico. Per Stefano Russo dalle contraddizioni nasce un nuovo spazio dove è possibile dialogare, dove gli opposti determinano un luogo poetico nel quale si manifesta la reciprocità tra le varie esperienze. Gli elementi, i personaggi, gli oggetti, scelti da Stefano Russo, agiscono uno spostamento, uno scarto, uno sguardo, che richiama la presenza di un evento che ha incrinato il loro rapporto con il mondo e fatto perdere la capacità di identificarsi in un ruolo preciso. Una ricerca sull’identità che viene perseguita attraverso esperienze significative che tendono a creare sempre un ulteriore punto di vista. Un ‘pretesto’ in cui divengono possibili le condizioni per la visione. Un’opera fatta di corpi, di idee, di posizioni, che antepongono la trasparenza dell’immagine alle mistificazioni della parola, e che, soprattutto, preferendo l’evidenza della rappresentazione alla falsità della messa in scena, si fa tramite di uno sguardo preciso ed soggettivo. Stefano sembra essere consapevole del fatto che il contemporaneo spesso propone il vuoto come possibilità, e realizza opere come forma di respiro interiore. Nel suo lavoro mente e corpo non sono mai disgiunti e l’opera è pensata come il polo di una 'raccolta di energie'.
L’insieme di quest’installazione di Stefano Russo è costituita da una serie di vecchie valigie e piccoli bauli, una sorta di simbolo di ogni viaggio e di ogni esilio, di ogni diaspora e di ogni esplorazione: la storia di un viaggio continuo. E il viaggio che Stefano propone e dentro la mente e dentro i sensi umani. Per il buddismo i sensi principali del nostro corpo sono sei (vista, udito, olfatto, gusto, tatto, coscienza), ma per Stefano anche gli oggetti, scelti uno a uno, acquistano un senso: il senso che nulla può essere ostacolo alla bellezza. Assemblando gli oggetti, Stefano ne fa apparire quel senso di bellezza che diviene tramite dell'esistenza e della Storia. Un viaggio senza una fine, una fuga realizzata con resti di oggetti vissuti.
Valigie di cuoio e legno di varie dimensioni, geometriche e regolari, al cui interno nasce la possibilità di far convivere qualsiasi tipo di diversità. Ogni valigia è come una tappa: oggetti personali, libri, strumenti, foto. Un luogo fatto di ricordi, opinioni, impressioni sul fare arte e sulla storia, sulle e culture e sulle città. Più che un confronto sulle opere, una riflessione sull'identità dei singoli in uno spazio mentale continuamente variabile, fragile e a tratti straniante; sulla percezione dello spazio e del sé. Una sorta di diario che diventa punto focale sulla critica ad un sistema che mette da parte le persone in nome di interessi economici e di potere.
La valigia come simbolo del viaggio, della partenza e del cambiamento, ma anche il desiderio di distruggere quel residuo di monumentalità ancora connaturato all’arte contemporanea. Un viaggio dunque, quello cui invita Stefano Russo è un viaggio, reale, virtuale, concettuale, utopico o semplicemente ipotetico, l'idea di un viaggio come possibilità di un altrove, l’idea di un essere qui ma provvisori, proiettati verso una condizione altra, a volte ignota o comunque non definita. Ma la valigia di Stefano è anche bagaglio, spazio per ciò che nell’andare è memoria del vissuto, ed è la trasformazione degli spettatori in passeggeri, transitori, caduchi.
Si attua il tentativo di ricomporre l'identità tra corpo mentale e corpo fisico dell'opera, tra contenuto e forma, identità prerogativa dell'arte simbolica. Una via di fuga verso la destinazione ignota che è meta del viaggio: propone il recupero del senso dell'opera nell'identità tra significante e significato, l'essenzialità estetica contrapposta alla ridondanza, la leggerezza e l'adattabilità a diverse realtà e contesti. Stefano Russo sembra intuire come trasformare la materialità in energia mentale. Risulta chiaro perché alla base del suo lavoro ci sia sempre l'uomo e la ricerca di un nuovo equilibrio tra naturale e artificiale. A partire da questa opposizione Stefano Russo ha saputo creare un complesso corpo di opere che presuppongono l'incontro tra i materiali naturali e l'object trouvé, una ricerca tra gli oggetti e le differenti realtà del mondo. Nelle sue opere assembla materiali diversissimi privandoli in parte del loro significato intrinseco e delle loro funzioni originarie per dare vita a nuovi strumenti capaci di raccogliere e custodire l'essenza di realtà ibride e differenti. Stefano Russo sembra amare ogni genere di trasformazione, provocando un nuovo destino agli oggetti che presenta. Per Stefano Russo la presentazione e l'evocazione della memoria avvengono attraverso piccole cose: fotografie, immagini, oggetti custodi di storie individuali che, unite, contribuiscono a creare una storia collettiva, universale.
Nelle sue opere il rapporto con la memoria è espresso attraverso una sequenza accostata di frammenti di vite, di 'tracce'. Scrive Didi-Huberman a questo proposito: “L'inconscio del tempo si presenta a noi attraverso le sue 'tracce' e il suo 'lavoro'. Le tracce sono materiali: vestigia, rifiuti della storia, contromotivi o controritmi, cadute o irruzioni, sintomi o malesseri, sincopi o anacronismi nella continuità dei fatti del passato. Di fronte a tutto questo lo storico deve rinunciare ad alcune secolari gerarchie – fatti importanti contro fatti insignificanti – e adottare lo sguardo meticoloso dell'antropologo attento ai dettagli e sopratutto ai più piccoli”. ( Georges Didi-Huberman, 2007)
Per Stefano Russo, testi, oggetti, immagini vanno conservati, ascoltati e considerati anche alla luce dei loro reciprochi rapporti. Gli oggetti e le immagini devono essere fonte di sopravvivenza e possibilità di riscatto, in continua riscrittura e ricerca di rapporti. Questo modo di guardare il tempo attraverso gli oggetti è la possibilità di ricomporre frammenti di esistenza per costruire collezioni di mondi, dunque per Stefano l’arte è, una costellazione di frammenti e di tracce, e sembra voler indicare, opera dopo opera, una temporalità instabilmente in bilico, in esposizioni a metà tra l'archivio e il museo etnografico. Una ricerca, una raccolta e un'esposizione in cui ogni singolo frammento di esistenza, ricrea un molteplice intreccio di memoria e identità. Nelle opere di Stefano Russo le piccole cose e le immagini comuni acquistano una fortissima carica emozionale e evocativa, come delle reliquie, dei reperti, come punti di partenza per un viaggio. Il rapporto io-mondo è inevitabile; quasi a sottolineare l’ineffabilità dell’assenza, della sparizione, della memoria e in questo senso il lavoro di Stefano Russo è anche una riflessione sulla perdita di identità, attraverso un'operazione di raccolta, accumulo e riciclo, racconta la vita attraverso lo scarto tra l'architettura compositiva e l'ossessiva centralità degli oggetti, e crea uno sviluppo geometrico che genera un'armonia rigorosa, un pensiero intimo, un ricordo, un'emozione.
Come Aby Warburg, Stefano Russo, è fortemente convinto che libri e immagini rappresentano la memoria sia materialmente che allegoricamente, e che gli oggetti sono il veicolo e il simbolo della continuità, Warburg infatti concepì un 'atlante' del potenziale espressivo umano, uno spazio per mostrare la complessa struttura del codice culturale dell'umanità. L'approccio di Warburg agli oggetti della ricerca non si è basato sulla continuità e sulla familiarità, ma su tutto ciò che era incongruente e enigmatico, considerando ogni dettaglio un frammento di un intero ancora sconosciuto. Warburg, che era interessato a tutto ciò che era piccolo e minuscolo, non ha mai considerato la storia come un'eredità solida, ma come un qualcosa fatto di rifiuti, cadute, rovesciamenti, rimandi, come le immagini e le opere d'arte, per Warburg cariche non solo di dati della memoria ma anche di equivoci e enigmi.
In questa serie di opere di Stefano Russo, si fa esplodere una nebulosa per nessi arditi e la sequenza quasi sempre enigmatica delle immagini. Quello che avvicinano gli oggetti e le valigie di Stefano sono le nozioni di processo, di svolgimento, di raccolta, come le enumerazioni caotiche di Borges e la ‘macchina per pensare’ di Lullo. Per Stefano Russo l’arte è una sorta di ‘montaggio’ del tempo, un diverso regime della temporalità, e dunque il contrasto di storia e memoria, una modalità da cui ricavare un’idea di «atlante», uno strumento di visualizzazione del sapere, una forma ibrida, un modo di organizzare la conoscenza, l’accostamento imprevisto o addirittura il caos.
Francesca Alfano Miglietti